Quantcast
Channel: alunni – La città nuova
Viewing all articles
Browse latest Browse all 3

Quello che i genitori di Bergamo non sanno (sugli stranieri in classe)

$
0
0

La decisione presa da alcuni genitori di ritirare i propri figli dall’istituto elementare di Costa Volpino, in provincia di Bergamo, perché nella classe a cui erano stati destinati gli alunni stranieri erano in maggioranza (14 contro 7) ha fornito il destro a un nuovo fiume di parole inconcludenti e talvolta pure sbagliate sulla questione dei figli dei migranti nelle scuole italiane. La domanda che è rimbalzata da più parti è: possono o no, gli alunni senza cittadinanza italiana essere in maggioranza in una classe? L’argomento, puntualmente, porta a riesumare semplicisticamente la circolare del ministero dell’Istruzione del 2010 , che stabiliva appunto un tetto massimo del 30% di alunni “stranieri” nelle classi italiane al fine da favorire il sereno svolgimento della didattica. La risposta dovrebbe quindi essere: no, non possono esserlo. A ben vedere, però, le cose non stanno proprio così.

La suddetta circolare, infatti, stabilisce le «condizioni per assicurare a tutti opportunità di istruzione, fissando dei limiti massimi di presenza nelle singole classi di studenti stranieri con ridotta conoscenza della lingua italiana.» Quindi, un alunno “straniero” nato in Italia non dovrebbe ricadere nel tetto del 30%: l’italiano lo parla, e pure bene. Così prosegue il testo: «Il limite del 30% può essere innalzato – con determinazione del Direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale – a fronte della presenza di alunni stranieri (come può frequentemente accadere nel caso di quelli nati in Italia) già in possesso delle adeguate competenze linguistiche».

Che cosa significa?

Significa che, ai fini didattici, ciò che importa realmente sono le capacità linguistiche degli studenti. E che se le posseggono, il tetto del 30% potrebbe non riguardarli: ecco perché, quindi, in 415 istituti scolastici (dati Ismu/Miur) la presenza di alunni “stranieri” è addirittura superiore al 50% del totale.

Dall’anno scolastico 2007/2008, il ministero dell’Istruzione, nei suoi annuari statistici, opera la distinzione tra alunni senza cittadinanza italiana nati in Italia e quelli invece arrivati qui  in un momento successivo alla nascita. E questo perché, il parametro della «cittadinanza», ai fini formativi, è non solo desueto ma pure fuorviante: lo spartiacque da prendere in considerazione è la conoscenza della lingua, non gli occhi a mandorla, la pelle nera o la dicitura sul passaporto.

 Che cosa rispondere, quindi, ai genitori di Bergamo?

Si potrebbe cominciare dicendo che, tra quelli che consideriamo alunni “stranieri”, gli stranieri sono sempre di meno. Per l’anno scolastico 2011/2012, nelle scuole di infanzia, tra gli alunni senza cittadinanza italiana 8 su 10 erano nati in Italia. Mentre, sul totale degli studenti “stranieri” di tutti i cicli di studio, quasi la metà (il 44,2%) ha visto la luce qui, nel nostro Paese.

Quello di cui ci sarebbe bisogno è una rivoluzione culturale che aiuti a discernere meglio la complessità che si nasconde dietro la riduttiva accezione di “straniero”.

 Complessità che – attenzione- non è tale per “natura”: è fomentata, piuttosto, da un’antiquata legge sulla cittadinanza (la n. 91 del 1992), che non lascia spazio ad una comunità politica fondata sul senso di appartenenza e l’attaccamento al posto dove si è nati e cresciuti, ma solo a quella consacrata dai vincoli di sangue (lo ius sanguinis, appunto).

Forse, anche con questa spiegazione, i genitori di Bergamo non saranno persuasi.

Che fare, quindi? Cambiare registro?

No, bisogna insistere. Solo spiegando la «normalità delle cose» si potrà finalmente legittimare il nuovo corso che l’Italia ha intrapreso e di cui è, dopotutto, solo all’inizio.


Viewing all articles
Browse latest Browse all 3

Trending Articles